Bomben auf Chemiewerk

Diretto da

Dopo aver realizzato durante i bombardamenti NATO in Jugoslavia alcuni servizi televisivi dai titoli eloquenti (Guerra chimica: la guerra della NATO e Armi Sataniche) per la rubrica ecologica Ozon dell'emittente tedesca ORB, Adamek offre con questo documentario un'ampia documentazione e riflessione sull'impatto ambientale di tale strategia bellica. Il suo film segue le tracce della commissione dell'ONU che in luglio ha visitato le principali città serbe dove si sono registrati danni ambientali per misurarne l'entità: Novi Sad, Opovo e soprattutto Pancevo, dove maggiore è stata la contaminazione in seguito ad attacchi mirati ai suoi impianti chimici svoltisi a più riprese dal 4 aprile sino all'8 giugno, quando la tregua era già in vista, e dove la contaminazione raggiunta ha spinto i medici a sconsigliare la gravidanza per almeno due anni alle donne presenti in città in quei giorni. Emerge dai sopralluoghi e dalle testimonianze dei responsabili della missione ONU, di rappresentanti del WWF e di altri ricercatori, come non solo non si sia trattato di errori, né di interrompere il processo produttivo, ma di distruggere gli impianti e causare determinati danni ecologici. K. Krusewitz, docente di pianificazione ambientale dell'Università di Berlino, rileva come si sia trattato di una nuova fase della guerra ecologica, paragonandola a quella più estesa condotta in Vietnam. Altri sottolineano come si sia violata la convenzione di Ginevra del 1977 che vieta "l'uso di armi e strategie belliche mirate a determinare gravi, diffusi e duraturi danni all'ambiente naturale". Viene anche mostrato a più riprese come una vera e propria strage sia stata evitata solo grazie all'intervento di alcuni tecnici che hanno riversato nel Danubio le sostanze più pericolose poco prima che le cisterne, dove queste erano collocate, venissero colpite, producendo reazioni chimiche, come la liberazione di fosfogene, un gas usato dall'esercito durante la prima guerra mondiale, che avrebbero sterminato la popolazione.

Titolo tradotto
[Bombe sulle industrie chimiche]
Genere
Documentario
Paese
Germania
Anno
1999
Durata
43'
Casa di produzione
Ostdeutscher Rundfunk Brandenburg, La Sept/ARTE
Approfondimento

A proposito di Bomben auf Chemiewerk

Guerre Sporche. Dalla sindrome del Vietnam alla Sindrome del Golfo 

di Marco Farano

Le bombe a grappolo che hanno ferito alcuni pescatori italiani durante il recente conflitto bellico in Jugoslavia e sono state rinvenute nelle reti ancora a metà settembre possono essere considerate la punta di un iceberg apparso all'orizzonte delle nostre coste. L'iceberg in questione è un fenomeno di enorme portata costituito dalle conseguenze ecologiche della guerra determinate dall'impiego crescente e sistematico di armi e strategie belliche che distruggono l'ambiente, uccidono sempre più civili e continuano a uccidere ancora e a lungo dopo il termine del conflitto. Questa sezione del festival [Cinemambiente 1999] ]intende riflettere su tale fenomeno mostrando tre tappe significative del suo sviluppo: la guerra del Vietnam, quella del Golfo e quella recente in Jugoslavia. Tre casi che illustrano bene anche la logica che guida tale evoluzione della guerra e spiega i legami non casuali fra una sua rappresentazione mediatica apparentemente sempre più trasparente e in tempo reale, una guerra che sembra diventare sempre più asettica, chirurgica, addirittura umanitaria, e una realtà ben diversa.

"Ce la lasceranno vincere questa volta?", chiede Rambo nel 1985 prima di partire per il Vietnam a liberare i presunti prigionieri americani che costituivano, nella realtà, l'ultimo pretesto per il mantenimento dell'embargo imposto dagli Stati Uniti dopo la sconfitta. Una domanda che esprime l'opinione di chi ritiene quella del Vietnam una guerra "persa in salotto" a causa dell'operato antipatriottico dei giornalisti che avrebbero mostrato "troppo sangue in TV", distruggendo il consenso popolare all'intervento bellico e obbligando gli Stati Uniti alla ritirata [1]. A questo mito, anche noto come "sindrome del Vietnam", si riferisce Bush poco prima della guerra del Golfo, quando afferma che questa non sarà un'altra guerra combattuta "con una mano legata dietro la schiena". E al termine del conflitto potrà dichiarare: "Abbiamo dato un calcio alla sindrome vietnamita una volta per tutte, cioè finalmente possiamo fare di nuovo le guerre, perché ormai siamo in grado di farle senza morti americani e con la restituzione dei prigionieri". La guerra del Golfo è terminata infatti con poco più di un centinaio di morti americani, vittime principalmente di incidenti, ed è stata certamente una guerra diversa: la prima guerra vissuta in diretta televisiva e combattuta attraverso una serie di interventi chirurgici resi possibili dall'impiego di armi intelligenti. La massima visibilità mediatica ha coinciso però, paradossalmente, proprio con la sua massima oscurità: il Pentagono ha imposto infatti una totale censura a tutti i media, che hanno potuto trasmettere solo immagini e notizie direttamente offerte o rigidamente selezionate dal Pentagono stesso. Abbiamo così visto principalmente video promozionali di diverse industrie belliche USA, riprese delle telecamere collocate sulle ogive dei missili e immagini dei bombardamenti simili a fuochi d'artificio. Parallelamente, il carattere chirurgico degli interventi bellici ha coinciso con una delle guerre più sporche, durante la quale si è riversato sull'Iraq una quantità di esplosivo pari a 15 volte quella usata da tutti i contendenti durante la seconda guerra mondiale, fra cui 300 tonnellate di proiettili radioattivi; in cui si sono bombardati i reattori nucleari, atto che l'ONU aveva vietato e che è considerato un crimine di guerra, e le fabbriche di armi chimiche vendute all'Iraq, sino a pochi mesi prima, da Stati Uniti e Germania. E il numero dei morti americani, una volta spenti i riflettori dei media, è salito a 10.000, tanti sono quelli attualmente deceduti fra i 100.000 reduci ammalatisi di quella che è stata definita la Sindrome del Golfo, un insieme di malattie gravissime che ha determinato anche malformazioni congenite nei loro figli. Probabili cause sono il vaccino contro le armi biologiche, le nubi di armi chimiche causate dai bombardamenti delle fabbriche e le armi all'uranio impoverito usato per rendere altamente penetranti i proiettili (fra cui i missili intelligenti Tomahawk) o per corazzare i carri armati. Nel video Metal of Dishonor uno dei veterani definisce la Sindrome del Golfo un "agent orange" degli anni Novanta [2]. L'agent orange era il nome del defoliante usato nel Vietnam dagli Stati Uniti, altamente cancerogeno a causa della diossina contenuta. Ne furono contaminate decine di migliaia di soldati americani che si ammalarono e dovettero lottare per anni, prima di veder riconosciute e indennizzate le loro malattie e quelle trasmesse ai figli. Grande scalpore suscitò nel 1991, mentre perdurava ancora l'embargo nei confronti del Vietnam, la notizia che un contadino vietnamita, saputo che un elicottero americano avrebbe sorvolato il suo villaggio alla ricerca di prigionieri, aveva richiesto alle autorità il permesso di abbatterlo [3]. Tale episodio perde il suo carattere aneddotico se si considera che in quegli anni, e la situazione odierna non è molto cambiata, si registrava in Vietnam un impressionante numero di vittime (6 al giorno nella sola provincia di Quang Tri) delle bombe a grappolo inesplose (ne furono sganciate 285 milioni, 7 a testa per ogni abitante) o delle mine che gli americani avevano abbandonato sul terreno rifiutando di fornire sia le mappe che le procedure di disinnesco [4]. Attualmente in Vietnam le vittime del solo agent orange sono stimate intorno ai due milioni e nella terza generazione di coloro che ne furono contaminati si presentano ancora gravissime malformazioni congenite. In Iraq i medici registrano oggi uno spaventoso aumento di casi di cancro, aborti e malformazioni congenite che il perdurare dei bombardamenti [5] e dell'embargo, che ha portato complessivamente a più di 1.500.000 di vittime, non permettono di quantificare con precisione e tantomeno di curare.

Torniamo in salotto, dove con i recenti bombardamenti NATO sulla Jugoslavia, la guerra è diventata finalmente umanitaria. Come conciliare però tale attributo con una strategia bellica che, come mostra il documentario Bomben auf Chemiewerke, è secondo le norme internazionali perseguibile per crimini di guerra: non solo per i sistematici attacchi aerei di obiettivi civili e l'uso di bombe a grappolo e all'uranio impoverito [6], ma soprattutto per aver intenzionalmente e ripetutamente bombardato impianti chimici, violando così le convenzioni sulla messa al bando della guerra chimica e di quella ecologica? Per una soluzione di questo enigma, che equivale a chiedersi come si sia potuto credere all'imbroglio dei fini umanitari, tema troppo complesso da essere adeguatamente esaminato in questa sede, si rimanda a un paio di letture o film, da cui ci si può fare un'idea di come inquinamento ambientale e mediatico abbiano proceduto in quest'ultima guerra di pari passo [7].

La storia dei rapporti fra guerra e ambiente non inizia ovviamente con il Vietnam né si limita a questi esempi [8]. Particolarmente preoccupanti sono alcuni progetti iniziati sotto la presidenza Reagan, che nonostante l'auspicata caduta dell'Impero del Male, proseguono imperterriti. Come lo sviluppo di armi biologiche, cui l'ingegneria genetica ha dato enorme slancio e maggiore pericolosità [9]. O come il rilancio del programma "guerre stellari", per cui quest'anno Clinton ha stanziato 6,5 miliardi di dollari e che il 29 settembre di quest'anno vedrà un primo test di intercettazione e abbattimento di missili balistici nello spazio, a 120 km di quota, violando il trattato ABM del 1972 [10]. Questi aspetti inquietanti della guerra e dei suoi impatti ambientali, che coinvolgono la genetica e lo spazio, non devono far dimenticare altre guerre, meno spettacolari ma non meno sporche, come i "conflitti a bassa intensità" combattuti dagli eserciti delle dittature del terzo mondo contro quei movimenti popolari che si oppongono a uno sviluppo economico che determina, ad esempio, 220.000 morti all'anno a causa di pesticidi vietati nei paesi ricchi. Un esempio fra i tanti è il Guatemala, dove si è registrato il primato mondiale di DDT nel latte materno con una dose 185 volte superiore al limite fissato dall'OMS e un contestuale aumento del 100% delle spese militari. Va ricordato infine quel fenomeno di terzomondializzazione, interno a paesi ricchi, che vede il welfare sostituito dal warfare, come accade esemplarmente negli Stati Uniti, dove un lavoratore su dieci dipende dal complesso militare industriale, che assorbe il 15% del bilancio federale e colloca le miniere di uranio, i poligoni militari e le discariche di scorie radioattive a cielo aperto nelle aree più povere del paese. L'immagine di un cartellone collocato lungo un'autostrada del New Mexico su cui si legge "New Mexico: numero 1 nella miseria, numero 1 negli armamenti atomici", ben si abbina a quella di alcune squadre speciali di polizia in servizio nei quartieri più poveri del paese che, dopo la guerra del Golfo, indossavano una maglietta con la scritta "Operation Ghetto Storm".

[1] Sulla rappresentazione mediatica della guerra del Vietnam e del Golfo vedi B. Cumings, Guerra e televisione, Baskerville, 1993 e C. Fracassi, Sotto la notizia niente, Avvenimenti, 1994.

[2] Sulla Sindrome del Golfo e la questione dell'uranio impoverito vedi anche AA.VV., Metal of Dishonor, International Action Center, 1997. II libro è in parte anche disponibile, assieme a molte altre informazioni, sul sito http://www.facenter.org

[3] Chomsky, Anno 501, la conquista continua, Gamberetti, 1993, utile anche a un inquadramento del tema affrontato in questo testo in un più ampio contesto politico. A tal fine vedi anche http://www.zmag.org

[4] Ogni 20 minuti nel mondo una persona è vittima di una mina antiuomo. Nel marzo del 1999 è entrato in vigore un trattato internazionale per la loro messa al bando, che gli USA non hanno sottoscritto, peraltro in buona compagnia di Cina e Russia.

[5] Più di 600 missioni registrate nelle due prime settimane di marzo mentre avvenivano i bombardamenti sulla Jugoslavia. 

[6] Precedentemente usate dalla NATO in Jugoslavia già nei bombardamenti del 1995 contro la parte serba della Bosnia.

[7] Sul ruolo delle compagnie di pubbliche relazioni e dei media nella crisi dei Balcani vedi AA.VV., La Nato nei Balcani, Editori Riuniti, 1999; AA.VV., Dal Medio Oriente ai Balcani, La città del sole, 1999; Paolo Rumiz, Maschere per un massacro, Editori Riuniti, 1998; C. Fracassi, Le notizie hanno le gambe corte, Rizzoli, 1996. I film in questione sono La seconda guerra civile americana di J. Dante e Sesso e potere di B. Levinson. Quest'ultimo narra la storia di una falsa guerra contro l'Albania scatenata dal presidente degli Stati Uniti per salvarsi da uno scandalo sessuale. Era proiettato nei cinema americani nei giorni in cui, mentre dopo le dichiarazioni sul caso Lewinsky si attendeva l'impeachment. Clinton fece bombardare in Sudan una fabbrica accusata di produrre armi chimiche rivelatasi poi essere la fabbrica farmaceutica che riforniva metà del paese. Durante gli ultimi attacchi NATO la televisione jugoslava lo trasmise a ciclo continuo, prima di essere bombardata. Nella finzione però all'autore del falso filmato sui profughi albanesi non sarà permesso di rivendicare pubblicamente le proprie gesta come al direttore della Ruder Finn, la compagnia di pubbliche relazioni che ha curato l'immagine di Croazia, Bosnia e kosovari albanesi. 

[8] In Francia continua ancora oggi la bonifica dei territori dove si svolsero i combattimenti della prima guerra mondiale; ogni anno viene recuperata, in due milioni di acri ancora inaccessibili, una media di 900 tonnellate di obici inesplosi e, solo nel 1991, 36 contadini sono stati uccisi e 51 gravemente feriti da ordigni inesplosi. Vedi D. Webster, Le terre di Caino. Quel che resta della guerra, Corbaccio, 1999. Sul nucleare vedi AA.VV., 10 d.C. (dopo Cernobyl) Cinema e nucleare, Pervisione, 1996. 

[9] Sulle biotecnologie vedi J. Rifkin, II secolo biotech, Baldini&Castoldi, 1998. Sulle armi biologiche gli annuali del SIPRI e http://cbw.sipri.se

[10] II 17 agosto di quest'anno la navicella spaziale Cassini, lanciata nel 1997 con a bordo 42.5 libbre di plutonio, ha compiuto una manovra di avvicinamento a circa 750 chilometri dalla terra, in gravità assistita, per acquistare velocità in direzione Saturno. Le proteste di chi ha per due anni segnalato che un errore di manovra che ne avesse determinato il rientro in atmosfera avrebbe comportato un rischio di contaminazione per l'intera umanità sono state totalmente ignorate dai media. Non è successo niente, ma è noto che di errori del genere può bastarne uno solo.

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